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L'inizio del terzo millennio sembra consolidare l'affermarsi di movimenti linguistici di direzione opposta a quelli che hanno storicamente portato in Italia al frammentarsi della lingua in mille parlate. I dialetti resistono, lo fanno soprattutto in alcune aree del Paese, ma riescono a farlo solo rinunciando a molte delle loro specificità, assumendo una patina che sempre più li avvicina alla lingua nazionale. L'italiano, varietà oggi stabilmente presente nei repertori di ogni comunità, si colora a sua volta di dialetto, mostrando l'intrecciarsi di variazioni che segnalano, nel momento in cui si fa propria una lingua unitaria, l'inevitabile tendenza a variarne l'uso, quasi a segnalare il bisogno di appartenenza, di non anonimato, di simbiosi con le particolarità di quel tessuto sociale ed economico che concretamente la contiene. La questione della "regionalità linguistica", osservata al di fuori dell'Italia, ci consente di capire più a fondo che cosa succeda ad una lingua nella sua relazione con un territorio inteso come prodotto di stabili interazioni comunitarie.